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Parco di Monte Arcosu


Parco di Monte Arcosu

Parco di Monte Arcosu è un’area protetta di circa 3.600 ettari, situata all’interno del Parco di Gutturu Mannu tra la città metropolitana di Cagliari e la provincia del Sud Sardegna, di proprietà del WWF Italia. Ricco di corsi d’acqua e cascate.

Il Parco di Monte Arcosu è la più estesa oasi naturalistica del WWF in Italia. La vegetazione della Riserva di Monte Arcosu è composta essenzialmente da leccio, sughera, fillirea,diverse specie di erica, corbezzolo, mirto, e molte specie di cisto, ma non mancano le particolarità, come una rigogliosa stazione di tasso, alcuni residui di foresta primaria di leccio e ben 46 endemismi, fra i quali spiccano per rarità la Barbarea rupicola, l’Helicrysum montelinasanum, l’Armeria sulcitana e l’Anchusa formosa, quest’ultima descritta per la prima volta negli scoscesi valloni del Monte Lattias. Completano il quadro ben 20 specie di orchidee selvatiche. I funghi sono presenti con numerose specie ed in grande abbondanza, fra cui l’endemico Ramaria arcosuensis.

La finalità prioritaria della riserva è la salvaguardia del cervo sardo, Cervus elaphus corsicanus, e del suo habitat naturale. Oltre al cervo sardo sono presenti altre forme animali come il daino, il cinghiale sardo, la volpe sarda Vulpes vulpes ichnusae, la donnola Mustela nivalis boccamela, i fenicotteri, il riccio, la lepre sarda, il topo quercino sardo, la martora Martes martes latinorum, il gatto selvatico sardo Felis silvestris libyca, l’aquila reale, falco pellegrino, lo sparviere sardo Accipiter nisus wolterstorffi ed il raro astore sardo Accipiter gentilis arrigonii, la poiana sarda, la pernice sarda, il geotritone dell’Iglesiente Speleomantes genei e il discoglosso Discoglossus sardus.


Informazioni

Comune

Uta

Indirizzo

Strada comunale Guttureddu – Loc. Sa Canna, Uta (CA)

Come arrivare

Monte Arcosu dista circa 20 Km da Cagliari e non è raggiungibile con mezzi pubblici.

Da Cagliari, seguire la S.S. 195 in direzione di Pula e dopo 12 Km svoltare in direzione Macchiareddu – CASIC. Da qui imboccare la Seconda Strada Ovest e proseguire fino alla Chiesa campestre di Santa Lucia, superarla e seguire le indicazioni WWF per la Riserva.

Accessibilità

orari: Aperto tutti i sabati, domenica e i festivi (esclusi Natale, Capodanno, Pasqua); orari d’apertura: invernale dalle 9.00 alle 17.00; estivo dalle 9.00 alle 19.00.

telefono: 070/7968416

e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.  

Adatto ai portatori di disabilità

Stagioni consigliate


Notizie varie

COSA E’ UNA CARBONAIA (testo tratto dal sito di Asfodelo Trekking Sardegna)

Le carbonaie erano strutture usate per trasformare la legna fresca in carbone. La tecnica di trasformazione ha subito delle evoluzioni nel corso dei secoli ma si è sempre basata sul principio della combustione imperfetta del legno, cioè una combustione in condizioni di scarsa ossigenazione. Questa avveniva all'interno di montagnole troncoconiche, formate da un camino centrale e da cunicoli di sfogo laterale per regolare il tiraggio dell'aria

Quella della carbonaia era una tecnica usata in passato (ma talvolta utilizzata ancora oggi) per trasformare la legna fresca in carbone. Questa tecnica, ha subito dei piccoli adattamenti nel corso dei secoli, ma ha sempre mantenuto la sua forma di montagnola conica, formata da un camino centrale ed altri cunicoli di sfogo laterali, usati con lo scopo di regolare il tiraggio dell'aria. Il procedimento di produzione del carbone si può dire che sia una combustione imperfetta del legno, in quando avviene in condizioni di scarsa ossigenazione.

Ricostruzione della sezione della carbonaia
Ricostruzione della sezione della carbonaia (immagine tratta dal sito acquaplactarum.org)

 

LA TECNICA: PREPARAZIONE DEL LEGNAME La prima fase del lavoro consisteva nella preparazione della legna. I carbonai tagliavano gli alberi, generalmente nel periodo di luna calante, in una parte di bosco loro assegnato, rispettando alcune disposizioni di legge che prevedevano un diradamento delle piante e non un esbosco. Un documento storico della fine dell'800 così recita: "... La legna di faggio per fare carbone deve provenire dai tagli di diradamento eseguiti nelle giovani faggete e dai materiali di scarto." Dopo la diramatura del legname, questo veniva portato ad una lunghezza di circa un metro e, dopo 10-15 giorni di essiccazione veniva trasportato nella piazza da carbone.

LA PIAZZA DA CARBONE  Queste piccole aie erano disseminate nei boschi a distanze abbastanza regolari e collegate da fitte reti di sentieri. Dovevano trovarsi lontane da correnti d'aria ed essere costituite da un terreno che presentasse particolari condizioni. Infatti per la scelta dello spiazzo, si teneva conto della qualità del terreno, che non doveva essere né troppo poroso, costituito da un terreno sabbioso e permeabile in modo da impedire il passaggio dell’aria che avrebbe favorito una carbonizzazione troppo rapida, né troppo compatto, per non rallentare successivamente il processo di combustione. La condizione ottimale era favorita dai posti in cui era già avvenuta la carbonizzazione per garantire la regolare cottura del legname potendo ottenere un prodotto in carbone pari al 15% o al 20% in più rispetto ad una piazzola usata per la prima volta. Indispensabile era anche la presenza di corsi d’acqua per spegnere focolai e incendi indesiderati e, certamente, non rari. Anche la vicinanza a strade e sentieri era da preferire, in quanto rendevano più facile e meno dispendiosa la raccolta della legna ed il trasporto del prodotto ottenuto dopo il processo di carbonizzazione. Molto spesso, visto il terreno scosceso dei boschi, erano sostenute da muri a secco in pietra. In queste piazzole si ritrovano ancor oggi dei piccoli pezzi di legna ancora carbonizzata. Esse venivano ripulite accuratamente durante la preparazione del legname. Le montagne della Sardegna sono ricche di queste piazzole.

COSTRUZIONE DELLA CARBONAIA Stabilito quale doveva essere il centro della carbonaia, la legna veniva disposta in cerchio. Per favorire la carbonizzazione, il legname più grosso doveva essere spezzato. Tre pali di legno, alti circa 2-3 metri, venivano piantati saldamente nel terreno. Questi pali erano tenuti insieme da due cerchi formati con dei rametti. È proprio da questo centro che iniziava la cottura della legna. Solo dopo aver piantato e legato i pali, i carbonai iniziavano a costruire la carbonaia, sistemando intorno ai 3 pali prima la legna più grossa (in quanto richiedeva più cottura), poi quella più sottile, in modo da lasciare il foro centrale libero per sistemare poi le braci. La legna veniva ben stipata, per evitare interstizi areati che potevano compromettere la riuscita della cottura. Tale sistemazione richiedeva 2 giorni di lavoro, svolto con una metodica affinata sempre più dall'esperienza e da una tradizione secolare. Una volta conclusa la posa, la carbonaia assumeva la tipica forma conica arrotondata con un raggio di base di 2-3 metri. Seguivano altri due giorni di lavoro per la copertura. Primariamente si ricopriva la catasta con del fogliame minuto. Questo strato di foglie doveva essere di 8-10 cm. Il rivestimento di foglie veniva a sua volta ricoperto di terriccio ripulito dai sassi, allo scopo di isolare la legna dall'aria.

LA COTTURA DEL CARBONE Nella fase di cottura servivano due pali, uno più sottile per aprire dei fori di respiro, ed uno più grosso, usato quando si imboccava (ovvero riempire) la carbonaia. Acceso un fuoco per preparare le braci, si poteva aprire la bocca della carbonaia, che veniva imboccata con dei piccoli pezzi di legna e poi avveniva l'accensione mettendo nella bocca numerose braci.

Ai piedi della carbonaia si aprivano dei fori di respiro ad un metro di distanza l'uno dall'altro, che dovevano rimanere aperti per tutti i 13-14 giorni di cottura. Dopo qualche ora dall'accensione, quando il fumo usciva copioso, si alimentava il fuoco con nuova legna che doveva essere ben pressata con il palo più grande. Si chiudeva quindi la bocca ed il fumo a questo punto doveva uscire, dai fori in basso. Per 4-5 giorni la carbonaia veniva alimentata in questo modo giorno e notte, finché una consistente fiammata alla sommità annunciava l'avvio definitivo del processo di carbonizzazione. La cottura iniziava nella parte in alto della carbonaia, per questo i carbonai aprivano dei fori con il bastone sottile, fori che venivano poi chiusi ed aperti via via più in basso per spostare la zona di cottura. Dopo una decina di giorni la carbonaia assumeva un aspetto diverso: il terriccio di copertura diventava nero e le dimensioni si riducevano notevolmente; anche i fumi che uscivano dai fori assumevano un colore diverso. In questa ultima fase di cottura l'alimentazione della carbonaia avveniva ai lati dove si creavano degli affossamenti e non più dalla bocca perché oramai inesistente. Per una carbonaia di 100 quintali ci volevano 8 quintali di legna per alimentarla. Nel corso della carbonizzazione la legna diminuiva del suo volume del 40% e del suo peso dell'80%. Proprio per questo il carbonaio negli ultimi giorni doveva prestare molta attenzione affinché non si creassero dei vuoti d'aria all'interno del cumulo che avrebbero potuto provocare l'incenerimento della carbonaia. Per evitare ciò doveva batterlo con il grosso bastone. In base al colore del fumo che fuoriusciva dai fori laterali, il carbonaio poteva vedere l'andamento della combustione: solo quando il fumo era turchino e trasparente il carbone era pronto.

LO STOCCAGGIO A cottura ultimata si iniziava la fase della scarbonizzazione che richiedeva 1-2 giorni di lavoro. Per prima cosa si doveva raffreddare il carbone con numerose palate di terra. Si procedeva quindi all'estrazione spegnendo con l'acqua eventuali braci rimaste accese. La qualità del carbone ottenuto variava a seconda della bravura ed esperienza del carbonaio, ma anche dal legname usato. Il carbone di ottima qualità doveva cantare bene, cioè fare un bel rumore.

Infine il carbone, quando era ben raffreddato, veniva insaccato e provvisoriamente stivato in apposite baracche. Di seguito trasportato, a spalla dai colletini e/o per mezzo di muli e poi con carri a buoi verso la pianura (o il mare) per essere venduto. Di questo carbone si faceva uso sia domestico che industriale.

Carbonaia - foto di Roberto Copparoni

La foresta nella storia: Prenuragici e Nuragici nell’area di Monte Arcosu

Per quanto riguarda l’Età Prenuragica, all’interno dell’area del Parco di Gutturu Mannu sono state individuate alcune strutture, possibili ripari sotto la roccia, resti di capanne, in prossimità di alcune fonti d’acqua, risalenti a quei periodi ma non ancora investigate. Le immagini a lato si riferiscono a questi siti compresi fra l’area di Perdu Melis e Genna Stinta. Dentro l’area dell’Oasi sono numerosi i siti studiati dagli archeologici che dimostrano una frequentazione del territorio fin dalle epoche più remote. Alle pendici di Monte Arcosu, in località Pianu de Monte Arrexi (Uta), sono stati individuati 9 monumenti e 2 concentrazioni di materiale appartenenti al Bronzo Recente e sono emersi materiali risalenti al tardo Neolitico. Altri siti nell’area di Monte Arcosu nel Comune di Uta sono inquadrabili tra il Neolitico Recente e l’Eneolitico e fra questi: - Su Niu de Su Pilloni - resti di un insediamento con capanne e strutture difensive con imponente cinta muraria, forse ascrivibili alla cultura di Monte Claro; - Is Arridelis - ritrovati reperti ceramici, litici e ossidiana di cultura Ozieri, Sub Ozieri e nuragici; - San Nicola - Immersi nella terra e ricoperti di vegetazione sono stati individuati circa cinquanta menhirs aniconici, protoantropomorfi e antropomorfi.

Risalenti all’Età Nuragica sono le numerose strutture, alcune ben conservate, presenti nella località di Su Planu de Monti Arrexi e s’Inziru. In questa area, in corrispondenza di quasi tutte le alture, si conservano strutture murarie riferibili a nuraghi o insediamenti con concentrazione di materiali ceramici e litici. Tra questi ricordiamo: - Nuraghe Bruncu Perdosu - La torre si conserva parzialmente e intorno è presente uno strato di crollo della mole originale; - Nuraghe e villaggio nuragico di Sa Mitza Padentina - La struttura del nuraghe aveva un perimetro interno di circa 11 metri di diametro. Intorno sono state trovate strutture capannicole abbastanza ben conservate che lasciano presumere la presenza di un villaggio di notevoli dimensioni. Alcune strutture rivelano un riutilizzo in epoca tarda Romana dalla presenza di laterizi e frammenti ceramici; - Nuraghe e villaggio nuragico di Arridepis - Le opere di trasformazione agraria dell’area circostante hanno compromesso le strutture. Restano parti sparse di un nuraghe che risulta distrutto fin dalla fine dell’800. La quantità e concentrazione di materiale ceramico, anche a decine di metri dalla struttura centrale, fa supporre la presenza di un villaggio annesso al nuraghe. Tra i reperti emersi sono interessanti alcune Olle con orlo appiattito e frammenti di pintadere. Anche attorno alla miniera di San Leone esistono delle testimonianze nuragiche, così come nell’altro versante del monte verso est, in località Sant’Antonio, Bacchialinu e Monte Arrubiu dove troviamo tracce di insediamenti preistorici. Nell’area del parco si trovano diverse zone da indagare e fra queste, meritano una particolare attenzione, i siti di Perdu Melis e di Genna Strinta dove vi sono delle evidenti testimonianze di epoca neolitica e nuragica con segni di insediamenti e riutilizzi successivi fino al tardo romano

Nell’area de Su Planu de Monti Arrexi, nel 1849, furono rinvenuti diversi bronzetti nuragici, (nelle immagini sotto) ora custoditi nel Museo Archeologico di Cagliari, tra cui il famoso Capo Tribù la più grande di tutte le figurine di bronzo sarde fino a oggi rinvenuti.

Ritrovamenti di bronzetti nuragici nell’area de Su Planu de Monti Arrexi
Ritrovamenti di bronzetti nuragici nell’area de Su Planu de Monti Arrexi, nel 1849

1) Capotribù, alt. 39 cm - 2) Guerriero con spada e scudo, alt. 24 cm - 3) Guerriero con spada ed arco, alt. 24 cm - 4) Fromboliere, alt. res. 15 cm - 5) Statuette di oranti, alt. 16 cm - 6) La lotta, alt. 10,5 cm. lungh. 15 cm - 7) Coprispada raffigurante un cervo

CURIOSITA’ DEL RITROVAMENTO:

La storia del ritrovamento è misteriosa infatti risulta che  lo scopritore, tale Francesco Pani che di professione faceva il carpentiere, nel giugno del 1849, nel corso di una giornata di lavoro a tagliare legna nella falda di Monte Arcosu, trovò sotto un grande masso, ricoperto in parte dalla terra, un cordoncino di piombo da dove compariva una testa di bronzetto. Per estrarlo totalmente egli si fece aiutare da altre persone e dopo aver spostato il macigno vennero alla luce otto bronzetti con altrettante spade di bronzo. L’esame dei bronzetti inizialmente studiati dal Canonico Giovanni Spano ci permette di affermare che questi bronzetti sono stati asportati dalla loro originaria collocazione e raccolti e nascosti in un luogo diverso. Se è difficile comprendere i motivi di questo sotterramento, per la verità assai ordinato, così come ci ha descritto il Canonico Spano, è assai più difficile individuare il luogo sacro dove questi idoli erano stati collocati. Forse essi erano posizionati in un luogo di culto, un luogo sacro dove, assai probabilmente, erano stati riposti sopra dei massi opportunamente forati nei quali le statuette, che solitamente presentano sotto i piedi o comunque alla base una appendice, venivano impiombate.

La Foresta nella storia: Fenici, Punici e Romani nell’area di Monte Arcosu

Tra il IX secolo e la metà del VII sec. a. C. sorgono in Sardegna lungo la costa alcuni grandi centri fenici tra cui nella parte sud occidentale Nora, Bithia e Sulci. Gli insediamenti rurali feniciopunici erano costituiti da una miriade di piccole unità insediative umane nelle campagne dell'immediato retroterra che avevano sia una funzione militare che di sfruttamento delle risorse agricole e anche minerarie, con la creazione di grandi fattorie nelle aree più ricche e comunque in prossimità degli assi viarii. Lo sviluppo degli insediamenti e del conseguente uso delle aree boschive ha seguito lo sviluppo del sistema viario, che già dall'età punica si sviluppava in modo da coprire e collegare una buona parte del territorio. Allo stato attuale della ricerca, il sistema viario punico può essere schematizzato per tre grandi direttrici a seguire le aree di maggiore densità di popolazione e di importanza strategica dal punto di vista sia militare che economico. Riconosciamo così una via del perimetro costiero la cui percorrenza, a causa della discontinuità del tracciato, doveva essere integrata per via mare dalla navigazione sotto costa, e tutta una serie di vie di penetrazione verso l'interno. 

L'occupazione del territorio sardo ricalcherà, in periodo romano, sostanzialmente quella del periodo punico precedente, dopo il 238 a.C. i nuovi dominatori non muteranno indirizzo nello sfruttamento del territorio. Tracce del sistema viario romano sono state ritrovate nell'area di Gutturu Mannu, in località S'arcu de Su Crisorgiu, e del Cixerri, come parte del sistema viario della Sardegna, noto principalmente dai cippi miliari e da alcune fonti letterarie-geografiche (Itinerario Antoniniano, Cosmografia dell'Anonimo Ravennate, Tabula Peutingeriana), e questo risulta essere piuttosto sviluppato nonostante la popolazione fosse relativamente scarsa. Peraltro all'interno dell'area di Gutturu Mannu si segnalano alcuni villaggi di una certa estensione chiamati entrambi quasi con lo stesso nome: Bidd'e Mores, nell'area del Comune di Assemini e l'altro Bidda Mores, nel Comune di Capoterra. In questo Comune vi sono altri siti da indagare fra cui quello i Sant'Antonio e Bacchialinu, mentre ricade nel Comune di Assemini l'area archeologica di Fanebas, dove sono presenti tracce di frequentazione dal neolitico al periodo romano e il sito di Gambarussa dove sono state rilevate tracce di insediamenti umani di vari periodi storici. I motivi che spinsero i Romani a costruire così tante strade vanno da motivi legati alla sicurezza fino ad arrivare al concetto che la romanizzazione stessa del territorio correva, per così dire, lungo le strade. Un esempio di quest'ultima categoria sono le vie, ben tre, che da Sulci conducevano a Karalì attraverso le valli del Flumentepido e del Cixerri, attraverso il passo di Campanasissa, in prossimità dell'attuale centro di Siliqua, e infine a risalire il rio di Santadi e il Gutturu Mannu. In più aree intorno al Parco sono stati trovati frammenti ceramici, materiale da costruzione e laterizi di epoca romana. In particolare in località Cirifoddi (isola amministrativa di Assemini) sono stati rinvenuti numerosi reperti archeologici ascrivibili al periodo romano e in località Tanca de Porceddu sono state rinvenute, in occasione di scavi del 1977, tracce evidenti di una vasta struttura con ambienti mosaicati, suspensurae e canalette per l'acqua che fanno supporre l'esistenza di una struttura termale.

Strade romane


Mappe

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